Siamo nati per essere in relazione: predisposizione biologica all’intersoggettività

L’essere umano è programmato biologicamente per stare in relazione con gli altri.

Fin dal concepimento la vita dell’essere umano può essere vista come “in relazione con l’altro”. La gestazione prevede un periodo di circa 9 mesi in cui il nascituro matura e si sviluppa all’interno del corpo materno e, dopo la nascita, l’incontro col mondo esterno è mediato dalla relazione con la figura materna.

Già a partire dall’epoca prenatale si rilevano le prove della natura insita negli esseri umani dell’essere predisposti biologicamente ad essere in relazione

Uno studio condotto da Castiello e collaboratori (2010) ha indagato se azioni con finalità sociali sono presenti prima della nascita. Per analizzare questo fenomeno sono stati studiati i movimenti fatti da coppie di feti gemelli all’interno dell’utero materno. Le sessioni di registrazione, attraverso ultrasonografia quadridimensionale, sono state condotte una nella quattordicesima settimana di gestazione e una nella diciottesima. 

I feti già a partire dalla quattordicesima settimana di gestazione mostravano movimenti degli arti superiori diretti verso se stessi, verso la parete uterina e verso il fratello. Inizialmente si è potuta osservare una preponderanza dei movimenti autodiretti, ma, tra la quattordicesima e la diciottesima settimana di gestazione, la percentuale di questi movimenti diminuisce. Al contrario, tendono ad aumentare progressivamente i movimenti rivolti verso il gemello. Anche la qualità del movimento risultava essere diversa.
Normalmente definiamo “carezza” quel movimento per cui il braccio accelera in direzione della persona che vogliamo toccare e decelera nel momento in cui si avvicina al soggetto. Questo fa sì che il nostro gesto sia una carezza e non un pugno. Bene, quanto osservato nello studio è che i movimenti diretti verso il fratello gemello avevano le caratteristiche che contraddistinguono la carezza: iniziale accelerazione e poi rallentamento nell’esecuzione. Cosa che invece non accadeva nel caso di movimenti autodiretti o rivolti alla parete uterina.

Questi risultati suggeriscono che i contatti non avvengono accidentalmente, bensì come risultato di una pianificazione motoria. Le azioni sociali sono già presenti a partire dal secondo trimestre di gestazione, quindi in un momento assai lontano dalla nascita il sistema motorio umano mostra di avere già delle proprietà funzionali che gli consentano di attuare delle interazioni sociali. 

Numerose altre prove empiriche dimostrano come fin dalla nascita si possa osservare la predisposizione intrinseca a relazionarsi con i propri simili, esibendo dei pattern comportamentali che consentono l’interazione. Dal momento in cui nasce, il neonato dimostra di essere predisposto a entrare in relazione col proprio caregiver grazie all’imitazione neonatale: tra i 12 e i 21 giorni di età, infatti, è possibile osservare nel bambino la capacità di imitare e quindi riprodurre le espressioni facciali che osserva nell’adulto. Questa capacità non caratterizza solo gli essere umani, è presente anche nei primati (Ferrari et al., 2006). 

Inoltre, i bambini dimostrano, molto precocemente, di essere capaci di entrare a far parte di sequenze interattive: attraverso il contatto visivo, le espressioni del volto, le vocalizzazioni e i gesti comunicano continuamente col proprio caregiver, sollecitandone l’attenzione. Questa capacità di interazione è stata definita protoconversazione: durante uno scambio faccia a faccia tra madre e bambino quasi immediatamente dopo la nascita, il neonato dimostra di essere in grado di modellare vocalizzi, espressioni facciali e gestuali basandosi sul principio dell’alternanza dei ruoli, della ritmicità, della melodia e dell’armonia dell’interazione, sincronizzandosi e regolandosi insieme al proprio caregiver, quindi adottando dei patterns espressivi che richiamano molto verosimilmente quelli che caratterizzano una conversazione adulta (Trevarthen, 1998).  

L’intersoggettività è un sistema motivazionale di base, una tendenza universale della specie che porta a comportarsi secondo delle modalità specifiche (Stern, 2004) e descrive quel processo per cui fin dai primi giorni di vita ci sono scambi continui e reciproci tra il neonato e la madre e che, attraverso lo sviluppo, porta alla capacità di sintonizzarsi e comprendere gli stati mentali altrui (Bruner, 1996). 

Il neonato, fin dalla nascita, dimostra una propensione innata a ricercare cure e attenzioni dal caregiver, mostrandosi maggiormente attratto da stimoli quali volti umani (Johnson, Dziurawiec, Ellis & Morton, 1991; Valenza, Simion, Cassia & Umiltà, 1996; Macchi, Cassia, Turati & Simion, 2004), suoni linguistici (Gómez, Berent, Benavides-Varela, Bion, Cattarossi, Nespor & Mehler, 2014) e movimenti biologici (Simion, Regolin & Bulf, 2007), ovvero quei fattori di natura sociale che massimizzano per la creatura la possibilità di entrare in relazione con l’altro. Sono dotati di “ricordi”, riconoscono la ninna nanna cantata dalla madre se questa era stata precedentemente sentita nel corso dell’ultimo trimestre di gestazione (Partanen et al. 2013), ne distinguono la voce (Mehler, Bertoncini, Barriere & Jassik-Gerschenfeld, 1978) ed il volto (Bushnell, 2001) e infine prediligono suoni che rappresentino la lingua nativa (Moon, Cooper & Fifer, 1993). 

L’essere umano è progettato per interagire con gli altri, per distinguerne i segnali sociali ed entrare in relazione.