Bonus psicologo

Il bonus psicologo è stato oggetti di grandi discussioni e controversie, soprattutto da parte chi è del settore. Le critiche mosse negli ultimi mesi sono state varie. 

Il 25 luglio 2022 il bonus è ufficialmente entrato in vigore. Da tale data fino al 24 ottobre 2022 si potrà fare domanda per avere accesso al bonus psicologo. 

Criteri per presentare domanda per il bonus psicologo

I criteri per poter presentare la domanda sono solamente due: 

  • Essere cittadino residente in Italia 
  • Disporre di un ISEE inferiore a 50mila euro. 

Piccola precisazione: ho scritto “solamente due” perché per diverso tempo si è discusso del fatto che sarebbe stata necessaria la diagnosi del medico di base per poter fare richiesta del bonus. 

Questo “criterio” aveva aperto un lungo dibattito in merito alla qualifica dei medici di base nel poter fare diagnosi in ambito psicologico e decidere di fatto a chi destinare il bonus e a chi no. 

Come fare domanda per il bonus psicologo

La domanda va presentata sul sito dell’INPS al link: 

https://www.inps.it/prestazioni-servizi/bonus-psicologo-contributo-per-sostenere-le-spese-relative-a-sessioni-di-psicoterapia

Come sapere se si godrà del bonus? 

Le graduatorie per l’assegnazione del bonus verranno stilate alla scadenza della presentazione delle domande. A parità di ISEE verrà tenuto conto dell’ordine cronologico di presentazione della domanda. 

Se verrà accolta la domanda, sarà disponibile l’importo e un codice da consegnare al professionista scelto. 

Il professionista può essere scelto tramite gli elenchi degli aderenti che viene pubblicato oppure chiedendo al proprio psicologo se aderisce all’iniziativa. Il codice attraverso il quale usufruire del bonus ha una validità di 180 giorni dall’emissione. 

Nel caso venga raggiunto il limite stanziato dal governo di 10 milioni di euro, il beneficio NON sarà erogato. 

Come possono aderire i professionisti? 

I professionisti che vogliono comunicare la propria adesione devono farlo tramite una procedura (non esattamente immediata).
Il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) stilerà un elenco degli aderenti e lo invierà all’INPS.

I criteri per poter aderire 

  • Iscrizione all’albo degli psicologi 
  • Aver terminato una scuola di specializzazione di 4 anni in psicoterapia

BONUS PSICOLOGO: LE CRITICHE 

Il bonus psicologo è stato oggetto di varie contestazioni negli ultimi mesi. 

Da una parte perché non riconosce il ruolo dello psicologo (non psicoterapeuta). Distinzione già abbastanza confusa. 

Dall’altra perché tramite il bonus, nel migliore dei casi, la persona avrà accesso a un percorso di sostegno psicologico pari a 10 sedute. Nell’ambito psicologico è difficile stabilire a priori un arco temporale in cui poter aiutare la persona a superare un momento di difficoltà, vissuti depressivi o ansiosi conseguenti alla pandemia e alla crisi socio economica (motivo per cui, secondo il governo, nasce il bonus). 

Il ruolo dello psicologo

C’è ancora tanta confusione sul ruolo dello psicologo e dello psicologo psicoterapeuta. Seppure siano due figure ben distinte, nel pensiero comune spesso non si sa la differenza. Se per prime sono le istituzioni a fare confusione, il lavoro diventa ancora più difficile. 

Nel decreto si legge della necessità di dare supporto alla popolazione, in forte sofferenza a causa degli ultimi anni. Qui il primo problema: vengono chiamati in causa solo psicologi psicoterapeuti, quando il supporto psicologico è tra i principali compiti dello psicologo. 

Questo comporta che se una persona è già seguita da uno psicologo non potrà fare richiesta per il bonus psicologo. 

In questo modo viene sminuita la professione dello psicologo. 

Budget e tempi 

Il testo approvato, parla di sostenere “le persone in condizione di ansia, stress, depressione e fragilità psicologica, a causa della situazione pandemica e della crisi socio-economica”. 

Sono tematiche complesse, per cui è difficile pensare di rispondere a tali necessità stabilendo delle tempistiche o (peggio) sapendo a priori di avere a disposizione solo pochi incontri (massimo 10, nella migliore delle ipotesi). 

Per come sono stabiliti i tempo e il budget, rischiano di non rispondere adeguatamente alle necessità e all’intento che si propone.

AL DI LA’ DELLE CRITICHE.. 

Sicuramente il bonus psicologo poteva essere pensato meglio. Potevano essere stanziati più soldi per una sanità pubblica che oggi non è in grado di consentire l’accesso al servizio psicologico. Sicuramente tante cose. 

…DEI LATI POSITIVI CI SONO!

In un momento tanto delicato si parla di salute mentale, di disagio psicologico, dell’importanza di occuparsene. Certo non basta a risolvere il problema, ma nel frattempo in tv, nei tg e nelle trasmissioni quotidiane se ne parla. 

Non bisogna dimenticare il contesto in cui viviamo, dove la malattia mentale è un tabù, il disagio psicologico viene nascosto e lo psicologo è qualcosa in cui si crede o non. 

Nel frattempo ci sarà chi potrà beneficiare di quello che si spera essere un inizio. 

Gli ormoni del benessere: come stimolare la chimica del nostro corpo

ormoni del benessere

Le reazioni chimiche che regolano il nostro stato di benessere

All’interno del nostro cervello avvengono costantemente reazioni chimiche che regolano la nostra attivazione, il nostro umore, il nostro sentire, le nostre emozioni, sentimenti e azioni. 

C’è un insieme particolare di ormoni e neurotrasmettitori che fanno provare benessere al nostro organismo: gli ormoni del benessere. 
I neurotrasmettitori e gli ormoni sono come dei “messaggeri” chimici, la cui funzione è quella di trasmettere informazioni e consentire la comunicazione tra le cellule del sistema nervoso centrale. 
Gli ormoni del benessere sono un gruppo di neurotrasmettitori e ormoni responsabili delle sensazioni di rilassamento, gioia e amore. 

Gli ormoni del benessere e della felicità

Endorfina

Conosciuta come l’ormone della felicità poiché è alla base dei sentimenti di gioia e piacere. Ha proprietà analgesica contro il dolore ed ha un’azione eccitante. Inoltre fortifica e protegge il sistema immunitario.

Ossitocina

Definita l’ormone dell’amore, aumenta la fiducia, favorisce l’affettività, la vicinanza e riduce lo stress.  E’ alla base dei comportamenti pro-sociali, dell’altruismo e dell’empatia. Viene particolarmente rilasciata durante la gravidanza e successivamente per favorire le cure materne. 

Adrenalina e noradrenalina

Ormoni del coraggio, si occupano del sistema d’allarme del nostro organismo, sono coinvolte nel controllo dell’umore e nella reazione allo stress. Modulano la capacità di concentrazione e l’azione.

Serotonina

Ormone del benessere, coinvolta nella maggior parte delle nostre funzioni primarie come il ciclo sonno-veglia, l’appetito, la memoria e il desiderio sessuale. Gioca un ruolo fondamentale nella regolazione dell’umore, riducendo l’ansia.

Dopamina

ORMONE DELLA MOTIVAZIONE, implicato nella regolazione della motivazione e del comportamento emotivo. Potenzia lo slancio interiore e la motivazione.

Come stimolare naturalmente gli ormoni del benessere? 

  1. Stare all’aria aperta esposti alla luce del sole: il rilascio di serotonina aumenta con l’esposizione alla luce solare. Trascorri quotidianamente almeno 30 minuti all’aria aperta, questo aumenterà il tuo benessere e rinforzerà il tuo sistema immunitario. 
  2. Mangiare cibo che piace: spesso quando siamo tristi capita di sentire la voglia di mangiare cioccolata o il proprio cibo preferito. Questo succede perché mangiare ciò che ci piace aumenta il rilascio di endorfine, che consentono di riequilibrare la nostra chimica ormonale. 
  3. Abbracciare, baciare e in generale avere contatto fisico: il contatto fisico consente di produrre ossitocina, abbassare i livelli di stress e aumentare lo stato di benessere. Inoltre il contatto corporeo consente all’organismo di “sentire” il corpo con cui è in contatto e di regolare di conseguenza i livelli di attivazione, favorendo l’omeostasi. 
  4. Fare sport: endorfine, dopamina, adrenalina e noradrenalina, vengono rilasciate in grande quantità durante una sessione sportiva. Che sia un allenamento in palestra, yoga al parco o una semplice passeggiata, può aiutare enormemente ad alimentare positivamente la chimica del nostro cervello. 
  5. Accarezzare un animale: è dimostrato come il contatto con un animale domestico aiuti il rilassamento, abbassa il nostro stato di attivazione e facilita al nostro organismo la regolazione. 
  6. Sorridere: la risata produce una variazione fisiologica che comporta innumerevoli effetti benefici. Diminuisce il cortisolo (principale ormone dello stress), aumentando le endorfine e la capacità del sistema immunitario. Questa è la ragione per cui esistono diversi protocolli di intervento, anche a livello ospedaliero, che utilizzano la risata come terapia.
  7. Ballare e ascoltare la musica: è stato dimostrato che gli stimoli musicali hanno un effetto positivo sulle funzioni neurali, sull’attività ormonale e sulle risposte emotive. 
  8. Meditare, fare yoga: cerca di ricrearti dei momenti di relax tutti per te. Diversi studi hanno dimostrato come sia possibile imparare a modificare la velocità del battito cardiaco e la pressione ematica attraverso esercizi di rilassamento, tanto che oggi esistono protocolli usati per la cura di pazienti con ipertensione.
  9. Completare un compito: portare a termine piccole attività, compiti semplici, porsi degli obiettivi quotidiani fa attivare il circuito della ricompensa e di conseguenza il rilascio di tutte quelle sostanze positive di cui abbiamo parlato, consentendo un maggior senso di benessere. 

Abilità TIP per la regolazione emotiva

Abilità TIP: sopravvivenza alla crisi

Marsha Linehan e la Terapia Dialettico Comportamentale

Ideata da Marsha M. Linehan nel 1993, la Terapia Dialettico Comportamentale (Dialectical Behavior Therapy DBT), è un approccio terapeutico di tipo cognitivo-comportamentale. Inizialmente l’autrice ha sviluppato tale approccio per il trattamento del disturbo borderline di personalità (BPD). Da allora, però, tale paradigma è stato ampliato e utilizzato con patologie di diversa natura e in svariati ambiti, arrivando addirittura ad essere utilizzato nelle scuole per insegnare la regolazione emotiva. 

La DBT descrive dettagliatamente diverse modalità per insegnare ed imparare la regolazione emotiva, tra queste le abilità TIP.

Le abilità TIP

Le abilità TIP rappresentano diversi modi in cui è possibile ridurre rapidamente l’intensità di emozioni forti. Queste abilità attivano il sistema nervoso autonomo del nostro organismo consentendo di ridurre l’attivazione emotiva. 

Il sistema nervoso autonomo è costituito da due parti: il sistema nervoso simpatico (SNP) e il sistema nervoso parasimpatico (SNS). 

Il sistema nervoso parasimpatico (SNP) è deputato alla regolazione delle funzioni fisiologiche di base, quali la digestione, l’immagazzinamento di energie ecc. In generale può essere considerato il sistema nervoso che stimola in noi lo stato di quiete e di rilassamento. In inglese viene anche definito “rest and digest” (riposo e digestione). 

Quando invece siamo agitati interviene il sistema nervoso simpatico (SNS), sistema deputato all’attivazione e all’eccitazione. Il SNS attiva il corpo facendo rilasciare neurotrasmettitori che comunicano ai vari organi di predisporsi all’azione. Sistema definito in inglese “fight or flight” (attacco o fuga). 

Il simpatico aumenta l’attivazione, mentre il parasimpatico diminuisce l’attivazione emotiva proprio in virtù della sua funzione regolatrice. 

Le competenze TIP regolano le emozioni stimolando l’attività del sistema nervoso parasimpatico, diminuendo parallelamente quella del sistema nervoso simpatico. 

Vi sono 4 modi per attivare il SNP riassunte nell’acronimo TIP o TIPP: Temperatura del volto, esercizio fisico Intenso, Placando il ritmo della respirazione, facendo rilassamento muscolare Progressivo.

Abilità TIP

T = TEMPERATURA 

Per cambiare velocemente la temperatura del volto usa acqua fredda o impacchi freddi sul viso mentre trattieni il fiato per qualche secondo. In questo modo si induce nel corpo il riflesso di immersione. 

Il riflesso di immersione a sua volta attiva il sistema parasimpatico, riducendo molto rapidamente l’attivazione fisiologica ed emotiva. 

  • Con una ciotola di acqua fredda: trattieni il respiro e immergi il volto fino alle tempie per un tempo totale tra i 30 e i 60 sec. Questo di solito è sufficiente ad innescare il riflesso di immersione. Più è fredda l’acqua e più a lungo si riesce a stare in immersione, più risulta funzionare. Importante però fare attenzione a non usare acqua troppo fredda: al di sotto dei 10 gradi può causare dolore al volto durante l’immersione.  
  • Con un impacco di ghiaccio, un sacchetto a chiusura ermetica con acqua e ghiaccio oppure un impacco di acqua fredda: usa l’impacco per tenerlo premuto su occhi e guance per 30 secondi. 
  • Spruzzando acqua fredda sul viso: spruzzati acqua fredda sugli occhi e sulle guance.  
  • Oppure riempi dei sacchettini con acqua fredda e poggiali sopra gli occhi e le guance per 30 secondi

Viene usata l’acqua fredda perché è in grado di abbassare rapidamente la frequenza del battito cardiaco. 

I = ESERCIZIO FISICO INTENSO 

Impegnati in un qualsiasi tipo di esercizio aerobico al alta intensità per almeno 20 minuti. Un intenso esercizio fisico prolungato per 20/30 minuti può avere un rapido effetto sul tono dell’umore, diminuendo la negatività e le rimuginazioni e andando ad aumentare le sensazioni positive. 

  • Scarica l’energia fisica accumulata dal corpo facendo una corsa, camminando veloce, saltando, sollevando qualcosa di pesante, facendo squat, jumping jack, addominali ecc.
  • Non fare pause, fai esercizio fino a stancarti.

A differenza dell’acqua fredda, l’attività fisica aumenta rapidamente il battito cardiaco. 

Questa attività è estremamente utile quando si è molto agitati, arrabbiati, quando si rimugina senza riuscirsi a fermare o più semplicemente la mattina, se si ha voglia di migliorare il proprio umore. 

P= PLACA IL RITMO DELLA RESPIRAZIONE 

La respirazione regolata consiste nel respirare profondamente con l’addome, rallentando il ritmo di inspirazione e di espirazione (con una media di 5-6 cicli di respiro al minuto). Per rendere più efficace l’esercizio, l’espirazione deve essere più lenta dell’inspirazione. 

  • Respira con la pancia rallentando il ritmo di inspirazione ed espirazione.
  • Fai espirazioni più lunghe delle inspirazioni (ad es. inspirare per 5 secondi, espirare per 7 secondi)

P = FAI RILASSAMENTO MUSCOLARE PROGRESSIVO

La quarta abilità consiste nell’abbinare l’espirazione con il rilassamento dei muscoli. 

  • Inspira profondamente con la pancia. Durante l’inspirazione contrai i muscoli, notando la sensazione di tensione.
  • Durante l’espirazione rilassati, lascia scemare la contrazione e nota come la sensazione di tensione sparisce gradualmente. 

Bibliografia: Linehan, M. M. (2015). DBT Skills Training. Manuale. Milano. Raffaello Cortina Editore. 


Neuropsicologia e interventi neuropsicologici

Neuropsicologia: definizione

La neuropsicologia è una branca della psicologia che ha come oggetto di studio le alterazioni delle funzioni cognitive (pensiero, memoria, attenzione, ragionamento, ecc). Studia i processi cognitivi e comportamentali in relazione ai meccanismi anatomo-fisiologici del sistema nervoso che li sottendono. 

La neuropsicologia si occupa di valutare, riabilitare o potenziare le funzioni cognitive.

Le funzioni cognitive sono, per esempio, il ragionamento, la memoria, la concentrazione e la capacità di giudizio. È ampiamente dimostrato come all’aumentare dell’età le funzioni cognitive vadano incontro a un normale decadimento. 

Valutazione neuropsicologica 

La valutazione neuropsicologica è costituita da due fasi: il colloquio clinico e l’esame neuropsicologico. 

Durante il colloquio si raccolgono i dati anamnestici e si ricostruisce un quadro clinico della storia del paziente. 

L’esame neuropsicologico viene effettuato in un secondo momento, attraverso l’uso di batterie di test standardizzati (come l’Esame Neuropsicologico Breve EBN2 ), per valutare il funzionamento delle abilità cognitive. 

Le prove sono varie ed esaminano il funzionamento del linguaggio, della memoria, dell’attenzione, del ragionamento logico, delle capacità visuo-percettive, delle abilità di pianificazione, di flessibilità cognitiva, di categorizzazione e ragionamento astratto. 

Tramite l’esame neuropsicologico viene redatto un referto che indica i punti deboli e di forza della persona, fornisce un’ipotesi diagnostica e indicazioni per eventuali progetti di intervento. 

Potenziamento cognitivo 

Il potenziamento di abilità neuropsicologiche prevede una serie di attività e di interventi volti a favorire l’acquisizione di strategie che consentano il mantenimento di funzioni cognitive quali memoria, attenzione, ragionamento. 

Gli interventi neuropsicologici con soggetti adulti o anziani, consentono di preservare le funzioni cognitive e prevenire eventuali patologie connesse al deterioramento fisiologico del substrato neurale. 

Perché fare interventi neuropsicologici?

A partire dai 60 anni di età il corpo va incontro a un naturale processo di cambiamento fisiologico. Le ossa diventano più fragili, vista e udito diventano più carenti. Anche il cervello va incontro a progressivi cambiamenti strutturali legati all’età, che portano a difficoltà nell’elaborazione e nell’organizzazione delle informazioni. 

I lobi frontali, le regioni connesse e la sostanza bianca vanno incontro a un progressivo mutamento strutturale: la corteccia cerebrale tende ad assottigliarsi, vi è un’accelerazione della morte neuronale e una conseguente riduzione della sostanza grigia e della sostanza bianca. 

Questi cambiamenti si percepiscono dall’esterno perché comportano delle alterazioni nel funzionamento cognitivo, quindi nelle capacità attentive, di ragionamento, di pianificazione, mnemoniche ecc. 

Questi sono i motivi per cui si può osservare, nelle persone anziane, una maggiore vulnerabilità ai raggiri, una particolare difficoltà nell’adattarsi alle novità, episodi di vuoti di memoria o fatica a trovare le parole per spiegarsi.

Gli interventi neuropsicologici sono mirati a potenziare l’attività cognitiva del soggetto adulto o anziano al fine di preservarne le capacità e prevenire l’invecchiamento ed eventuali patologie.

Gli interventi neuropsicologici di potenziamento cognitivo permettono di allenare le funzioni cognitive. L’allenamento permette ai substrati neurali, che sottendono le funzioni cognitive, di creare nuove sinapsi e quindi di mantenersi, rallentando la morte neuronale naturale che contraddistingue la tarda età adulta e la vecchiaia. 

Un esempio di intervento neuropsicologico: Memory Training per stimolare la memoria

Il Memory Training è un intervento neuropsicologico di stimolazione cognitiva molto utile per potenziare memoria e altre funzioni cognitive, come il ragionamento e la concentrazione. 
L’intervento è rivolto a chi lamenta difficoltà di memoria o concentrazione.

Programmi mirati alla stimolazione cognitiva, come il Memory Training, si sono dimostrati efficaci per mantenere la salute della persona e prevenire il declino delle funzioni cognitive. 

Studi empirici hanno dimostrato che le funzioni cognitive in persone anziane, con i normali cambiamenti dovuti all’età, sono state migliorate e mantenute grazie a questi interventi di stimolazione. 

Perché fare Memory Training? 

Seguire una regolare attività fisica, dieta equilibrata e allenare la mente sembrano essere i tre fattori chiave per ridurre il rischio di sviluppare patologie legate all’avanzare dell’età. 

In quali casi è indicata una valutazione neuropsicologica?

L’esame neuropsicologico è indicato per tutte le persone che presentano disturbi nella sfera cognitiva, emotiva e/o comportamentali derivati da:

  • Deterioramento cognitivo lieve (MCI)
  • Mavlattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, Parkinson, ecc
  • Ictus
  • Traumi cerebrali
  • Covid-19
  • Depressione, disturbi d’ansia, abuso di sostanze ecc.

L’obiettivo degli interventi neuropsicologici è di migliorare la qualità di vita, l’autonomia e il benessere della persona.


Cosa non fa uno psicologo: miti da sfatare

Tanti “falsi miti” aleggiano attorno alla figura dello psicologo.

Ci sono tanti miti che aleggiano attorno alla figura dello psicologo. Non di rado dopo che ci si laurea in psicologia ci si sente chiedere “Ah sei psicologo? Allora dimmi, a cosa sto pensando?” o ancora “Tu che sei psicologa, risolvimi questo problema”.
Sono situazioni che fanno sorridere, ma che allo stesso tempo celano a volte delle vere e proprie credenze nei confronti di questo mestiere. Si pensa che lo psicologo sia in grado di capire una persona solo guardandola o magari leggendole la mente. Altre volte ci si immagina che dallo psicologo si troveranno le risposte che risolveranno i propri problemi, o ancora che si troverà finalmente quella figura che ci dirà cosa è giusto e cosa è sbagliato fare e come comportarci. 

Cosa non fa lo psicologo

  • Non ti legge nella mente, non è un veggente. Sa ciò che tu gli racconti, sa dare un’interpretazione di ciò che sente e vede. Ma non sa leggere nella mente.
  • Non ti dice cosa devi o non devi fare, la persona che si rivolge allo psicologo ha il pieno controllo di ciò che fa e sceglie. Spesso lo psicologo è in grado di aiutarlo a fare maggior chiarezza e riordinare i pensieri e le emozioni. Per questo spesso dopo è più facile prendere una decisione, ma non è lo psicologo che sceglie.
  • Non ti giudica mai, è uno spazio tutto per sé privo di qualsiasi giudizio in cui potersi esprimere liberamente.
  • Non ti dice cosa è giusto e cosa è sbagliato. Soprattutto perché non esiste giusto e sbagliato in assoluto, ciò che è giusto per una persona può essere sbagliato per un’altra.
  • Non risolve i tuoi problemi come per magia, purtroppo. Però può aiutarti affinché tu stesso risolva i tuoi problemi. Il lavoro con lo psicologo prevede, infatti, che la persona si metta gioco attivamente cercando di migliorarsi.

Cosa fa davvero lo psicologo?

La verità è che lo psicologo è formato per avere particolari competenze che gli permettano di lavorare nella relazione con l’altro.
Lo psicologo è allenato ad ascoltare gli altri, a notare dettagli che lo aiutino a comprendere e interpretare ciò che la persona vuole comunicare. E’ un professionista preparato a cogliere segnali di vario tipo nella persona che si trova davanti e a leggere con attenzione sia la comunicazione verbale che non verbale. Per esempio una postura chiusa e rigida mentre si comunica serenità può indicare che forse non ci si sente davvero sereni.

Il lavoro psicologico è un lavoro che si fa insieme alla persona.

Un lavoro che prevede impegno da parte della persona che vuole mettersi in discussione, che vuole approfondire aspetti, temi o vissuti per dargli una nuova lettura o per imparare nuove modalità di interpretarle e quindi di comportarsi. È un lavoro attivo che prevede impegno da entrambe le parti, in cui si concordano degli obiettivi e delle tematiche su cui si vuole migliorare o approfondire. 

Spesso capita che siamo portati naturalmente a comportarci in un modo senza sapere realmente perché ci comportiamo così. Attraverso il colloquio, la persona ha la possibilità di trovarsi di fronte qualcuno che ragioni insieme a lei e dia nuova forma a ciò che prima non l’aveva.

Capita che la persona dopo un percorso psicologico riesca a risolvere alcuni di quelli che lamentava come problemi, ma non perché come per magia lo psicologo ha agito, ma piuttosto perché lo psicologo è stato in grado di accompagnare la persona nella propria messa in discussione, nei propri “problemi” e lo ha aiutato a guardarli con una nuova luce, facendo leva sulle risorse e sulle capacità di cambiamento che la persona ha. 

Al centro del lavoro dello psicologo, infatti, c’è sempre la persona che richiede il suo intervento.


Stress: un aiuto o un peso?

Stress positivo o negativo_Psicologa Altedo Bologna

Cos’è lo stress? 

Lo stress è una funzione adattiva dell’essere umano: è la risposta dell’organismo alla richieste di cambiamento da parte dell’ambiente.
E’ comune pensare che sia stressante solo ciò che è negativo. In realtà, qualsiasi evento, anche positivo, può essere vissuto come stressante se richiede un cambiamento della propria vita. 

A scoprire lo “stress” è stato un ricercatore che si è imbattuto in questo fenomeno per caso. Hans Selye (1974) stava facendo una ricerca in laboratorio su dei topi, iniettando loro quotidianamente una sostanza per verificarne gli effetti. Il ricercatore rimase stupito al termine dello studio, quando rilevò che tutti i topi avevano sviluppato un’ulcera. Era sorprendente che tutti si fossero ammalati, sia i topi che avevano ricevuto la sostanza vera e propria, sia quelli che avevano ricevuto il placebo. 
Il risultato non ha aiutato la sua ricerca. ma gli ha dato modo di capire, dopo vari tentativi, che le sue piccole cavie si ammalavano a causa delle condizione di vita cui erano soggette: scappare tutte le volte, venire catturati e infine ricevere l’iniezione. Queste situazioni avverse, prolungate nel tempo, facevano sviluppare a tutti gli animali l’ulcera. 

Selye ha introdotto così il concetto di stress per descrivere la risposta dell’organismo alle richieste a cui è sottoposto, una reazione difensiva e adattativa che l’autore denominò Sindrome Generale di Adattamento.

Reazione fisiologica allo stress 

Esattamente come avviene negli animali, l’essere umano è programmato per rispondere allo stress attivandosi secondo una reazione chiamata Risposta di attacco o fuga. Il corpo si mobilita per essere pronto alla minaccia. 

L’attivazione richiede energia. Il fegato inizia a rilasciare zuccheri extra per aiutare i muscoli a tendersi. Diversi ormoni entrano nel circolo sanguigno per aiutare a convertire i grassi e le proteine in zucchero e per anestetizzare il corpo dal dolore.
Il metabolismo accelera per prepararsi al consumo energetico. Il battito cardiaco, la pressione arteriosa e la respirazione aumentano e le attività non essenziali, come la digestione, si riducono. La saliva e il muco si essiccano, in modo da aumentare le dimensioni delle vie respiratorie. 
Questa complessa attivazione è stimolata da una parte dal sistema nervoso simpatico e dall’altra dal sistema cortico-surrenale (principale responsabile del rilascio dell’ormone adenocorticotropo ACTH o più comunemente ormone dello stress). 

Lo stress dipende da come noi lo percepiamo

Nonostante la reazione fisiologica allo stress sia la stessa per tutti, non tutte le persone provano stress pur vivendo una stessa situazione.
Di fronte ad una stessa circostanza ci capiterà spesso di sentire la lamentela di chi è stanco e reputa la situazione stressante e qualcuno che invece non ne risente. Questo perché dal punto di vista psicologico la percezione dello stress, o valutazione cognitiva dell’evento, è diversa da persona a persona. Questo spiega perché la stessa situazione può assumere significati diversi.

Come viene percepito lo stress dipende da tante variabili. Dipende dalle risorse fisiche che di cui dispone la persona in quel momento, il suo stato di salute, la quantità di energia che ha. Dipende dalle risorse psicologiche, l’autostima che l’individuo ha di sé, la percezione di essere in grado di farci fronte, l’ottimismo di vedere una situazione critica come una sfida. Infine giocano un ruolo importante le variabili sociali, quindi la possibilità o meno di chiedere aiuto qualora servisse. Questi fattori concorrono a determinare molteplici reazioni di fronte ad uno stesso evento. 

Questo spiega perché una persona ottimista tenderà a pensare di poter superare con successo l’esperienza stressante, mentre una persona pessimista più facilmente penserà di crollare e si rassegnerà alla situazione. 

Ci sono anche altri fattori che influiscono sulla percezione dello stress, come la prevedibilità, la controllabilità e la durata dell’evento stressante. 
Più un evento è incontrollabile più alta è la probabilità che venga vissuto come stressante. Essere in grado di prevedere il verificarsi di un evento, nonostante non se ne si abbia il controllo, riduce la gravità dello stress.  Infine, la durata di un evento sembra essere predittivo di quanto verrà percepito negativamente.

Lo stress è negativo o positivo? 

Nonostante questa parola sia usata sempre in negativo, lo stress per definizione è adattivo, serve a qualcosa. Aiuta il nostro corpo a produrre energia.

Sono l’ansia e lo stress che portano lo studente a prepararsi per tempo all’esame. L’attivazione è funzionale a mettere in atto comportamenti che aiuteranno a superare la prova, come prepararsi il materiale, studiare, svegliarsi presto.

Si parla di stress in senso negativo, invece, quando questa forte attivazione si protrae nel tempo.
Situazioni di stress cronico possono, addirittura, provocare conseguenze dannose per l’organismo. Questo perché una secrezione prolungata degli ormoni dello stress può compromettere il sistema immunitario, rendendo il fisico più vulnerabile a malattie (come ulcere, ipertensione, malattie cardiache). Molti clinici stimano addirittura che la metà di tutti i problemi medici della popolazione dipendano, in parte, dallo stress emotivo. 

Come gestire lo stress? 

Lo stress è normale che faccia parte della vita quotidiana di ciascuno. In ogni momento ci viene richiesto di adattarci a una nuova richiesta, un nuovo problema, una nuova situazione. Per affrontare lo stress quotidiano possiamo dedicarci a piccole cose che saranno però di grande aiuto per mantenere il nostro equilibrio.

Come gestire stress e ansia_Psicologa Altedo Bologna

L’importanza di parlarne

Comunicare con gli altri o scrivere di eventi di vita particolarmente stressanti migliora significativamente lo stato di salute. In uno studio (Pennebaker, 2007) 50 studenti hanno scritto dei loro “traumi” in 20 minuti, per 4 giorni consecutivi. Gli stessi, hanno fatto un prelievo di sangue prima, dopo e a distanza di qualche tempo dal compito.
Il risultato è stato sorprendente: le analisi del sangue dimostravano che gli studenti, che avevano messo per iscritto i loro momenti più difficili, mostravano un miglior funzionamento del sistema immunitario. Secondo Pennebaker la scrittura facilita la comprensione degli eventi, consentendo di trovare un significato e ridurre le emozioni negative. 


Qual è il confine tra ” normalità ” e patologia?

Confine normalità e patologia

Come fare a sapere dove finisce la normalità e inizia la patologia?

Si tende a pensare che la “normalità” e la patologia siano lontane, due facce diverse della medaglia. Invece “normalità” e patologia vanno immaginate lungo un continuum, una linea retta che va da una all’altra. Non c’è un punto preciso che separa la prima dalla seconda.

Tutti noi mettiamo in atto comportamenti comuni anche a molte psicopatologie. Comportamenti comuni e assolutamente innocui, come per esempio ricontrollare più volte di aver chiuso la macchina e magari tornare indietro per controllare ancora una volta dopo essersi allontanati. Un comportamento innocente, ma se ripetuto per ogni azione della vita quotidiana comporterebbe grandi limitazioni.

Ciò che definisce la patologia non è la presenza di qualcosa che in una persona sana non c’è, ma l’eccessiva presenza di qualcosa (come pensieri, comportamenti, atteggiamenti), normalmente presente in tutti noi, tanto da causare disagio a quella persona o a chi la circonda.

L’opinione comune vede le patologie mentali come qualcosa di “diverso da noi”, ma in realtà sono pensieri e caratteristiche molto più vicine a noi di quanto crediamo. 

Facciamo un esempio: l’ansia. 

L’ansia è uno stato fisiologico di attivazione che serve a predisporre il corpo all’azione. In questi termini non vi è nulla di negativo, anzi, a livello evolutivo l’essere umano non esisterebbe senza questa emozione. 

Se dobbiamo presentarci a un colloquio di lavoro o preparare un esame, è proprio l’ansia che attiva il nostro corpo in maniera tale da mettere in atto comportamenti che ci aiutino nel nostro obiettivo. Nel caso del colloquio ci spronerà a prepararci a eventuali domande. Nel caso dell’esame, ci porterà a prepararci con tempo il materiale da studiare. 
Ovviamente ci sono persone che l’ansia la sentono di più e persone che la sentono di meno. Una persona più ansiosa inizierà a prepararsi in vista del colloquio o dell’esame con più anticipo rispetto ad una persona con tendenze meno ansiose che probabilmente sopporterà anche di ridursi all’ultimo. 
Nessuna di queste due tuttavia ha una patologia. 

L’ansia può diventare un problema quando interferisce con la vita quotidiana della persona, quando è presente in misura eccessiva e in contesti non appropriati.

Quindi quando diventa patologia? 

Secondo il DSM-5, il principale manuale diagnostico, si tratta di psicopatologia o di disturbo mentale quando vi è un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento come risultato di una disfunzione psicologica, biologica o evolutiva. 
Solitamente il disturbo mentale si associa a un livello significativo di disagio in uno o più ambiti della vita della persona: in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti. 



Giornata mondiale della salute: cosa è bene ricordare

La salute è un concetto che è andato evolvendosi nel corso del tempo

In passato il concetto di salute veniva definito dal modello biomedico come “l’assenza di malattia” e la malattia veniva concepita come qualcosa di puramente organico. 
Attualmente, invece, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1948):

“La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consiste soltanto nell’assenza di malattia.
Il possesso del massimo stato di salute che si è capaci di raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano“.


È ormai abbandonato il modello biomedico che guardava alla salute come all’assenza di malattia e alla malattia come qualcosa che si può spiegare solo ricercandone cause organiche. 

Inoltre, attorno agli anni ’80 è stato introdotto il modello bio-psico-sociale per spiegare come sia salute che malattia dipendano da un’interazione dinamica tra più fattori: 

  • Biologici (legati alla biologia, a genetiche e fisiche)
  • Psicologici (come emozioni, motivazioni, credenze, esperienze pregresse) 
  • Sociali (quali ambiente familiare, lavorativo, socio-culturale)

La salute viene quindi intesa come un equilibrio dinamico (quindi in continuo movimento) tra mente, corpo e ambiente. 

Noi abbiamo cambiato il nostro modo di concepire la salute?

Ancora oggi, però, la tendenza è quella di curarsi quando si sta male, non considerando l’importanza di dedicare del tempo al proprio benessere sempre. Inoltre, quando si parla di salute il più delle volte ci si focalizza sul corpo, trascurando la mente. 

La nostra salute dipende fortemente dall’equilibrio tra mente e corpo. La ricerca dimostra ormai ampiamente come la salute mentale e il benessere psicologico incidano notevolmente sullo stato di salute del corpo.

Ciononostante si fa fatica a guardare alla salute mentale senza pregiudizi, senza immaginare immediatamente la malattia mentale.
Si fa fatica a riconoscere di essere in difficoltà perché spesso questo porta a chiedersi se si è “normali”. 
E si fa ancora più fatica a riconoscere che prendersi cura del proprio benessere psicologico non è qualcosa che si fa solo quando si sta male. Dedicarsi uno spazio in cui parlare con un professionista, anche laddove non ci siano difficoltà, porta a conoscersi meglio, ad esplorare parti di sé e del proprio modo di funzionare e di ragionare. È un allenamento per la nostra mente tanto quanto fare palestra è un allenamento per il nostro corpo. 

Tanto più conosciamo il nostro corpo e la nostra mente, tanto più siamo in grado di osservarne i segnali, coglierli e capire di conseguenza ciò che ci fa stare bene. 


Le emozioni

Emozioni, qualcosa che crea “movimento” dentro di noi

L’etimologia è la scienza che studia la storia e l’origine delle parole. L’etimologia della parola “emozione” è da ricondursi al latino emovère composto da ex= fuori e movere= muovere: è qualcosa che crea movimento.

Spesso ci capita di agire questo movimento senza averne consapevolezza. Questo ci porta a non capire perché ci comportiamo in un certo modo o a non capire perché gli altri si comportano in un certo modo. Può succedere anche l’opposto, quindi di trattenere e controllare eccessivamente questo movimento dentro di noi.

Essere disregolati emotivamente, sia controllando troppo il nostro comportamento e all’opposto non controllandolo per niente, significa agire le emozioni senza comprenderle. La consapevolezza delle nostre emozioni ci può aiutare a vivere le emozioni e non ad agirle, ritrovandoci in balia di queste. 

Cosa sono le emozioni

L’emozione è una reazione breve e multicomponenziale a stimoli interni o esterni a noi. E’ un sistema complesso che si è sviluppato negli animali e nell’essere umano con delle funzioni evolutive specifiche.

Lo stimolo può essere un pensiero o una sensazione corporea (in questo caso si tratta di uno stimolo interno) oppure può essere rappresentato da una persona o un evento (stimolo esterno). In risposta allo stimolo si produce l’emozione che comporta delle vere e proprie modificazioni a livello del sistema nervoso. Si configura così la reazione emotiva che comprende sia aspetti fisiologici (come aumento del battito cardiaco, sudorazione, cambiamento nella mimica facciale), sia aspetti cognitivi (pensieri e valutazioni della persona stessa in riferimento allo stimolo che ha suscitato l’emozione).

A cosa servono le emozioni?

Le emozioni sono uno strumento indispensabile per la vita quotidiana, risponde a specifiche funzioni:

  1. Motivarci e preparaci all’azione: abbreviano i nostri tempi di reazione in molte situazioni importanti o quando non c’è il tempo di riflettere.
  2. Comunicare agli altri: le emozioni sono, infatti, strettamente collegate alla nostra mimica facciale e ai segnali che inviamo a chi ci circonda. Questo ci aiuta a comunicare non solo con le parole, ma anche col nostro corpo.
  3. Fornire a noi stessi informazioni importanti circa ciò che stiamo vivendo: le emozioni sono segnali che ci indicano che sta succedendo qualcosa.

Ciò a cui dobbiamo stare attenti è non confondere le nostre emozioni per dei fatti concreti. Spesso tanto più è forte l’emozione che abbiamo provato tanto più forte è la convinzione che l’emozione fosse basata su fatti reali e concreti. Questo rischia di distorcere la nostra visione della realtà e di allontanarcene, dando eccessivo spazio al nostro sentire e di conseguenza ai nostri pensieri, ignorando ciò che realmente ci circonda.

Può aiutarti ricordare che le emozioni così come vengono poi vanno

È importante ricordare sempre che le emozioni hanno un decorso naturale: si innescano, si manifestano, ma poi si estinguono.

Quando sentiamo prendere in noi il sopravvento delle nostre emozioni può aiutarci ricordare che le emozioni sono delle reazioni brevi, intense, ma solo momentanee.

Decorso naturale delle emozioni

È difficile, ma se le comprendiamo possiamo imparare a sfruttare l’energia e la forza che queste generano in noi per rivolgerle a qualcosa di costruttivo.


Siamo nati per essere in relazione: predisposizione biologica all’intersoggettività

L’essere umano è programmato biologicamente per stare in relazione con gli altri.

Fin dal concepimento la vita dell’essere umano può essere vista come “in relazione con l’altro”. La gestazione prevede un periodo di circa 9 mesi in cui il nascituro matura e si sviluppa all’interno del corpo materno e, dopo la nascita, l’incontro col mondo esterno è mediato dalla relazione con la figura materna.

Già a partire dall’epoca prenatale si rilevano le prove della natura insita negli esseri umani dell’essere predisposti biologicamente ad essere in relazione

Uno studio condotto da Castiello e collaboratori (2010) ha indagato se azioni con finalità sociali sono presenti prima della nascita. Per analizzare questo fenomeno sono stati studiati i movimenti fatti da coppie di feti gemelli all’interno dell’utero materno. Le sessioni di registrazione, attraverso ultrasonografia quadridimensionale, sono state condotte una nella quattordicesima settimana di gestazione e una nella diciottesima. 

I feti già a partire dalla quattordicesima settimana di gestazione mostravano movimenti degli arti superiori diretti verso se stessi, verso la parete uterina e verso il fratello. Inizialmente si è potuta osservare una preponderanza dei movimenti autodiretti, ma, tra la quattordicesima e la diciottesima settimana di gestazione, la percentuale di questi movimenti diminuisce. Al contrario, tendono ad aumentare progressivamente i movimenti rivolti verso il gemello. Anche la qualità del movimento risultava essere diversa.
Normalmente definiamo “carezza” quel movimento per cui il braccio accelera in direzione della persona che vogliamo toccare e decelera nel momento in cui si avvicina al soggetto. Questo fa sì che il nostro gesto sia una carezza e non un pugno. Bene, quanto osservato nello studio è che i movimenti diretti verso il fratello gemello avevano le caratteristiche che contraddistinguono la carezza: iniziale accelerazione e poi rallentamento nell’esecuzione. Cosa che invece non accadeva nel caso di movimenti autodiretti o rivolti alla parete uterina.

Questi risultati suggeriscono che i contatti non avvengono accidentalmente, bensì come risultato di una pianificazione motoria. Le azioni sociali sono già presenti a partire dal secondo trimestre di gestazione, quindi in un momento assai lontano dalla nascita il sistema motorio umano mostra di avere già delle proprietà funzionali che gli consentano di attuare delle interazioni sociali. 

Numerose altre prove empiriche dimostrano come fin dalla nascita si possa osservare la predisposizione intrinseca a relazionarsi con i propri simili, esibendo dei pattern comportamentali che consentono l’interazione. Dal momento in cui nasce, il neonato dimostra di essere predisposto a entrare in relazione col proprio caregiver grazie all’imitazione neonatale: tra i 12 e i 21 giorni di età, infatti, è possibile osservare nel bambino la capacità di imitare e quindi riprodurre le espressioni facciali che osserva nell’adulto. Questa capacità non caratterizza solo gli essere umani, è presente anche nei primati (Ferrari et al., 2006). 

Inoltre, i bambini dimostrano, molto precocemente, di essere capaci di entrare a far parte di sequenze interattive: attraverso il contatto visivo, le espressioni del volto, le vocalizzazioni e i gesti comunicano continuamente col proprio caregiver, sollecitandone l’attenzione. Questa capacità di interazione è stata definita protoconversazione: durante uno scambio faccia a faccia tra madre e bambino quasi immediatamente dopo la nascita, il neonato dimostra di essere in grado di modellare vocalizzi, espressioni facciali e gestuali basandosi sul principio dell’alternanza dei ruoli, della ritmicità, della melodia e dell’armonia dell’interazione, sincronizzandosi e regolandosi insieme al proprio caregiver, quindi adottando dei patterns espressivi che richiamano molto verosimilmente quelli che caratterizzano una conversazione adulta (Trevarthen, 1998).  

L’intersoggettività è un sistema motivazionale di base, una tendenza universale della specie che porta a comportarsi secondo delle modalità specifiche (Stern, 2004) e descrive quel processo per cui fin dai primi giorni di vita ci sono scambi continui e reciproci tra il neonato e la madre e che, attraverso lo sviluppo, porta alla capacità di sintonizzarsi e comprendere gli stati mentali altrui (Bruner, 1996). 

Il neonato, fin dalla nascita, dimostra una propensione innata a ricercare cure e attenzioni dal caregiver, mostrandosi maggiormente attratto da stimoli quali volti umani (Johnson, Dziurawiec, Ellis & Morton, 1991; Valenza, Simion, Cassia & Umiltà, 1996; Macchi, Cassia, Turati & Simion, 2004), suoni linguistici (Gómez, Berent, Benavides-Varela, Bion, Cattarossi, Nespor & Mehler, 2014) e movimenti biologici (Simion, Regolin & Bulf, 2007), ovvero quei fattori di natura sociale che massimizzano per la creatura la possibilità di entrare in relazione con l’altro. Sono dotati di “ricordi”, riconoscono la ninna nanna cantata dalla madre se questa era stata precedentemente sentita nel corso dell’ultimo trimestre di gestazione (Partanen et al. 2013), ne distinguono la voce (Mehler, Bertoncini, Barriere & Jassik-Gerschenfeld, 1978) ed il volto (Bushnell, 2001) e infine prediligono suoni che rappresentino la lingua nativa (Moon, Cooper & Fifer, 1993). 

L’essere umano è progettato per interagire con gli altri, per distinguerne i segnali sociali ed entrare in relazione.